
Frazione Rova
Rova, ora inglobata nell’unico agglomerato urbano che ha saturato interamente il territorio di fondo valle, fino a cinquant’anni fa era una frazione fisicamente separata da Gazzaniga. Anzi, nel tredicesimo secolo, figurava come comune autonomo, appartenente alla Confederazione di Honio.
Il nucleo abitato, “vico” o “Villa” di Rova, era andato formandosi dal periodo longobardico al tredicesimo secolo su un’altura di solido conglomerato fluvioglaciale del Quaternario, in un territorio geograficamente omogeneo, ai piedi del M. Ganda, sulla destra orografica del torrente Rova-Rocliscione, al centro di terre disboscate e terrazzate circondate da estesi cerreti e castagneti protetti dagli staturi. Nel 1263 per volere del Consiglio Maggiore di Bergamo il comune di Rovadovette unirsi al “comune federativo” di Gazzaniga insieme con Fiorano e Orezzo.
Nel 1428, sottraendosi al dominio della Signoria viscontea di Milano, il comune federativo si assoggettò alla Repubblica Serenissima di Venezia. Da allora si assiste ad un’espansione edilizia verso il fondovalle e il piccolo e chiuso borgo dei “vicini” di Rova si aprì verso le contrade di Rova di Sotto e della Costa lungo la “strada maestra per Bergamo” in direzione di Gazzaniga.
E’ durante quella espansione che sorse, tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500 la cappella o “Oratorio di S. Deffendo”, o San Defendente, lungo la salita che porta al voltone d’ingresso al vecchio borgo.
La cappella, di modeste dimensioni, 3x3 m, con volta a crociera, è chiaramente visibile nella prima metà dell’attuale sacrestia, con una parete e la volta affrescate. I pregevoli affreschi sono dei pittoriMarinoni di Desenzanao al Serio che li eseguirono intorno al 1520. Sulla volta sono dipinti in cinque medaglie circolari il Cristo Pantocratore e i quattro dottori della chiesa nelle velette: S. Agostino, S. Ambrogio, S. Gregorio Magno e S. Gerolamo. Sulla parete ovest, sopra un altare in seguito rimosso, è dipinta la Deposizione dalla Croce, con il Cristo morto, l’Addolorata e i santi Defendente e Antonio Abate a destra, Giovanni Rocco a sinistra. Il motivo principale dell’affresco diede nei secoli successivi il nome di Santa Croce all’Oratorio.
La cappella era aperta sui due lati, chiusi con semplici cancelli, ma vi si celebrava la Messa secondo le offerte devozionali. La “fabbrica” non aveva ancora rendite fisse, ma era governata autonomamente da reggenti eletti dagli abitanti della contrada. Alla visita apostolica del 1575 San Carlo ordinò che l’Oratorio fosse “chiuso con muro da ogni parte” se si voleva continuare a celebrare le messe.
L’ordine di S. Carlo doveva essere eseguito. Anzi, dato che la cappella risultava sempre più inadeguata rispetto alla crescente popolazione, i reggenti pensarono di ingrandirla, raccogliendo viavia un discreto patrimonio di lasciti e legati. Nel 1624 dagli atti della visita del vescovo Cornelio risulta in via di costruzione “una chiesa sotto il titolo di Santa Croce”.
Questa chiesa non risulta un prolungamento della cappella che era troppo piccola, ma è una nuova chiesa con nuovo presbiterio e nuovo altare, mentre la cappella, rimasta dietro al presbiterio, ha assunto la funzione di sacrestia, ingrandita con l’aggiunta di una struttura uguale, con voltino a crociera ma senza affreschi.
La nuova chiesa è a una navata, lunga 12 m e larga 6 m, leggermente romboidata, con volta a tutto sesto. Sul retro è completata da un elegante campaniletto in vivo di calcare nero locale, come i muri della chiesa stessa.
La facciata ha un ampio portale in arenaria sagomata, ai cui lati i contorni di due finestre pure sagomati si sovrappongono in modo singolare a quelli del portale. Una finestra semicircolare sopra il portale rimane oscurata dal tetto del portichetto che evidentemente è una aggiunta successiva.
Questo portichetto è a due falde in legno poggianti ciascuna su due colonne di arenaria ed è sostenuto da due capriate in legno. Vi si accede con un sagratino in salita acciottolato.
All’interno le pareti e la volta presentano decorazioni pittoriche riferite costantemente ai motivi della Santa Croce e della Passione. Sopra l’unico altare, fu collocata, entro un’artistica ancona lignea barocca, una pregiata tela commissionata intorno al 1640 al pittore clusonese Domenico Carpinoni. Questi vi dipinse, in stile barocco con influssi veneti, la drammatica scena della Deposizione dalla Croce, con Cristo morto abbandonato fra le braccia di Maria, con la Maddalena, S. Giovanni e S. Defendente, antico contitolare, quest’ultimo, dell’Oratorio.
L’altare fu rifatto verso la fine del ‘600 in marmo nero locale con intarsi policromi commissionato alla nota bottega locale dei Manni.
La “fabbrica” era governata da una regolare Fabbriceria, formata da tre “sindici” o reggenti eletti dagli abitanti di Rova, da un tesoriere e da un cancelliere notaio. Il patrimonio di lasciti e lagatifruttava mediamente una rendita annua di L. 200, salita a L. 230 nel 1700, che si spendeva in messe celebrate da cappellani incaricati. Alcuni legati obbligavano a celebrare tutti i venerdì, altri le domeniche, ma si celebravano anche messe feriali da offerte occasionali.
Dal 1803 per decreto napoleonico l’amministrazione autonoma del Luogo Pio di Santa Croce cessò e venne assorbita in quella della Fabbriceria parrocchiale e gradualmente i legati con obbligo di celebrazione di messe andarono esaurendosi. Nel 1861 risultano solo 20 messe festive da legati e poche altre feriali. Rimanevano però le tre solennità, quella di S. Mauro del 15 gennaio, dell’Invenzione della Croce del 3 maggio e dell’Esaltazione della Croce del 14 settembre.
Dal 1902 invece, per celebrare tutti i giorni festivi e feriali, fu assegnato alla chiesa di Rova un Cappellano coadiutore il quale dal 1911 abitò stabilmente nella casa coadiutorale appositamente costruita in contrada Costa.
Dalla chiesa di Rova per tradizione partivano, dopo le cerimonie di accoglienza, tutti i solenni cortei organizzati per le grandi occasioni, come ad esempio per le visite pastorali dei vescovi, per i nuovi sacerdoti, per la traslazione di S. Ippolito, per invocare speciali propiziazioni o pronunciare voti collettivi, e così via.
La chiesa subì parecchi restauri nel passato, fino a quelli eseguiti nel 1975 all’ancona lignea e alla tela del Carpinoni e a quelli del 2002 relativi agli affreschi cinquecenteschi e alle decorazioni pittoriche delle pareti interne e della volta.
(Sintesi da una ricerca di Angelo Bertasa pubblicata a puntate nel 2002 sul Bollettino Parrocchiale di Gazzaniga)